Comunicazione tablet

RAI CALABRIA, in ricordo di Pino Anfuso e Franco Bruno

9 Luglio, 2025 | Comunicazioni

Da sinistra: Carlo Parisi, Daniele Macheda,Roberta Serdoz,e accanto a Riccardo Giacoia ultimo a destra il Presidente dl Consiglio Regionale della Calabria Filippo Mancuso.

Pino Nano

Solenne cerimonia di ricordo e di commemorazione al Consiglio Regionale della Calabria per due giornalisti RAI che ormai non sono più tra di noi, e che con il loro lavoro quotidiano hanno segnato e attraversato la vita e la storia della redazione giornalistica RAI della Calabria.

Si tratta dei giornalisti Franco Bruno e Pino Anfuso, morti ancora molto giovani e mentre erano ancora in servizio, due pilastri della redazione giornalistica RAI calabrese, soprattutto della redazione di Reggio Calabria, e che per le loro diverse specificità hanno raccontato magistralmente bene un pezzo fondamentale della storia di questa nostra regione, quasi 30 anni di cronache, di inchieste filmate, di dossier spinosissimi, di denunce pubbliche e di resoconti politici da una delle realtà periferiche più difficili e complesse del Paese.

Per il Presidente del Consiglio Regionale Filippo Mancuso è un giorno solenne, perché “qui oggi -dice il Presidente- vogliamo ricordare due testimoni del nostro tempo, e due cronisti che hanno dedicato al giornalismo la loro vita sacrificando affetti e interessi personali”.

Il vero padrone di casa qui in Consiglio Regionale oggi è però il Capo della redazione giornalistica della Sede calabrese della RAI, Riccardo Giacoia, è partita infatti da lui la proposta di intitolare due spazi diversi, due stanze, ai due colleghi reggini, dopo che nei mesi scorsi il Consiglio Regionale aveva già ricordato anche un altro giovane collega giornalista, Pietro Bellantoni, anche lui devastato in giovanissima età dal cancro poco dopo la sua assunzione in RAI.

“Tre diverse storie- dice Riccardo Giacoia– tre diverse tragedie, tre diversi percorsi di vita, ma tutti e tre figli di questa grande azienda pubblica che è ancora la RAI.E a cui oggi tutti noi diciamo ancora una volta Grazie per tutto quello che avete dato a questa terra e alla sua gente”

Commovente e appassionato il ricordo che dei colleghi scomparsi fa qui in Consiglio Regionale Roberta Serdoz, Vice Direttore della Testata Giornalistica Regionale RAI, in rappresentanza del management aziendale- “Colleghi che io ho conosciuto, che ho avuto modo di apprezzare nell’esercizio delle loro funzioni, e che ho soprattutto stimato e seguito per il rigore del loro impegno professionale e quotidiano al servizio dell’informazione regionale e nazionale”.

Da lontano arriva il messaggio di saluto del direttore di Sede Massimo Fedele, lui al seguito del Presidente dell’Albania nei paesi di lingia arberesche. In sala invece per la festa generale ci sono i familiari di Franco Bruno e di Pino Anfuso, ci sono i colleghi di Reggio Calabria andati in pensione, Lello Malito, Orazio Cipriani, Giovanni Scarinci, Tonino Raffa, Mario Meliadò, ci sono i vertici del sindacato, Carlo Parisi per la FIGEC Cisal, e Daniele Macheda per l’USIGRAI, ci sono amici comuni di Franco e Pino che con loro hanno condiviso intere stagioni di racconti e di esperienze giornalistiche. Ci sono Pippo Praticò, Franco Cufari, Carlo Macrì e naturalmente il portavoce del Consiglio regionale della Calabria, Romano Pitaro. Fisicamente assente per motivi di lavoro, Giusy Utano, che ha lavorato fianco a fianco con Pino Anfuso, ha voluto essere presente con un mazzo di fiori, alla sua maniera di sempre.

“Ho conosciuto Franco Bruno nella Sala Stampa del Comune di Reggio Calabria – racconta Carlo Parisi- quando, alle prime armi, ho iniziato a scrivere per Il Giornale di Calabria. Con Pippo Praticò e Orazio Cipriani, qui presenti, ascoltavamo i suoi racconti sulla Rivolta del 1970, la ’ndrangheta, i sequestri, il malaffare sfociato nella Tangentopoli reggina e soprattutto i retroscena di tante pagine importanti della politica. Un signore del giornalismo. Pino Anfuso, invece, quasi mio coetaneo, invece, è stato l’amico al quale chiedere consiglio per la risoluzione dei problemi tecnici più difficili. Era un mago della fotografia, delle riprese e del montaggio, come bene ha ricordato Riccardo Giacoia, che in pochi istanti, addirittura in auto, riusciva a montare un servizio e renderlo pronto per la messa in onda. Ma Pino era soprattutto un gigante buono dall’eterno sorriso”.      

Daniele Macheda ricorda il suo rapporto viscerale e personale soprattutto con Pino Anfuso “abbiamo partecipato allo stesso concorso di assunzione in RAI e le nostre vite per molto tempo sono state parallele, sono qui anche per testimoniare questo mio grande amore per i miei compagni di lavoro e di vita”. Ma lo stesso Carlo Parisi racconta qui un aneddoto che solo in pochi forse conoscono, e che da giovane lui e Daniele Macheda giocavano a calcio insieme, quando nessuno dei due avrebbe mai immaginato di diventare da grande leader sindacale di altissimo prestigio e profilo”.

Ma alla fine queste cerimonie sono importanti e belle anche per questo, perché anche i grandi “guerrieri” per un attimo “depongono le armi” per onorare la memoria e l’amicizia che ognuno di noi ha costruito cementato e coltivato sul suo posto di lavoro. Ma questo è il bello della vita.

Chi era Pino Anfuso?

Pino Anfuso

Con Pino Anfuso ho lavorato moltissimo sulla cronaca. Come professionista mi affascinava molto. Pino era il classico mastino di razza, un giornalista che poteva tranquillamente lavorare da solo, pieno d’intuito e di coraggio, uno di quei telecinereporter che non si fermano mai davanti a niente. A lui dovevi solo spiegare cosa volevi portare a casa, cosa ti serviva, quali immagini servivano al tuo servizio, al resto ci pensava lui, anche nelle situazioni più difficili e più a rischio.
L’ultima volta che siamo stati a cena insieme – c’eravamo tutti alla festa di Gregorio quella sera – mi ha regalato una fotografia che conservo gelosamente, e che trasformerei molto volentieri nella copertina di questo mio diario di bordo. È una foto a colori che Pino mi scattò qualche anno fa a Staiti, un paesino interno della Locride. Eravamo finiti lì per una diretta televisiva, Staiti è un paese dove non c’era il medico condotto e da dove l’ospedale più vicino distava settanta chilometri. Dovevamo raccontare questa storia. Bene, la foto mi ritrae con il microfono in mano e un asino che mi sta accanto: è come se in pratica io mi fossi fermato per intervistare quell’asino. Non credo possa esserci immagine più simbolica di questa per raccontare la vita di un cronista in Calabria. Ma c’è un’altra cosa che non potrò mai dimenticare: fu la “caccia comune” che demmo ad una balena che si era arenata nel bacino del porto di Gioia Tauro lasciando in balia del mare le sue balenottere. A bordo di un elicottero della Polizia di Stato, ed in compagnia di una effervescente veterinaria del Museo del Mare di Genova, cercammo di riprendere quella balena in difficoltà. Passammo ore ed ore appollaiati su quel trabiccolo dell’aria. Pino, ricordo, stava seduto sul portellone laterale, con la telecamera legata al collo e le gambe penzoloni fuori dalla carlinga. Per giorni e giorni pregammo, tifammo, sperammo che quel cetaceo ce la facesse. Alla fine, per fortuna, riuscì a farcela, riprese il largo, e forse riuscì anche a ritrovare le sue cucciole. Tutto meravigliosamente bene fino a quando, nel maggio 2015, non leggo sulle agenzie di stampa che anche lui se ne è andato via per sempre. Dopo un incidente avvenuto a Genova, era stato ricoverato nell’ospedale San Martino. Tornato poi in Calabria per la convalescenza, Pino era stato male di nuovo e venne ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Reggio Calabria. Dove morì purtroppo tre giorni dopo. Forse un’embolia polmonare. Oggi in Rai, a Roma, c’è sua figlia Alessandra, che è diventata punto di riferimento della direzione marketing. «È una ferita ancora molto aperta», ricorda la moglie Marisa Barbaro che aggiunge: «Stiamo cercando giustizia».

Chi era Franco Bruno?

Franco Bruno

Quando sono arrivato in Rai, assunto al posto di Carmelo Malara, morto giovanissimo, era la mattina del 24 maggio 1982. Franco Bruno era già stato assunto due anni prima, con l’avvio della Terza Rete. E quando per la prima volta io e Gregorio Corigliano entrammo nel palazzo Rai di Via Montesanto a Cosenza per la tradizionale visita medica prima dell’assunzione, perché va detto che siamo stati assunti insieme lo stesso giorno e convocati dall’allora caporedattore Franco Falvo alla stessa ora di quella mattina, Franco Bruno in quel palazzo era già uno dei protagonisti del giornalismo radiotelevisivo calabrese.
Erano i primi anni ‘80, anni in cui la redazione della Terza Rete era appena nata. Appena entrati trovammo come compagni di lavoro oltre Franco Bruno, Franco Falvo, Mimmo Nunnari, Emanuele Giacoia, Vincenzo D’Atri, Elio Fata, Enzo Arcuri, Lello Malito, Tonino Raffa, Oloferne Carpino, Michele Gioia, Tonino Arena, Ugo Rendace, Pino Greco, Cesare Passalacqua, Claudio Poggi, Giancarlo Geri, Giovanni Scarinci, Cecè Pitrelli, vado a memoria e spero di non aver dimenticato nessuno. Direttore di Sede era Sandro Passino. Più tardi arrivarono Maria Rosaria Gianni, Andrea Musmeci, Santino Trimboli, Pasqualino Pandullo, Gennaro Cosentino, Fabio Nicolò, Giampiero De Maria, Annarosa Macri, Anna Maria Terremoto, Alfonso Samengo, e poi ancora Livia Blasi, da Napoli Corrado Fidora e Francesca Ghidini, da Roma Isabella Mezza, fino alla generazione ultimissima che ha poi sostituito tutti noi vecchi. A Reggio c’erano anche Franco Cipriani, poi arriverà al suo posto il figlio Orazio, Pino Anfuso, a Catanzaro c’era Renato Mantelli, e a Locri Tonino Condò. Da allora, con Franco abbiamo percorso insieme un lungo tratto di strada, lui eterno inviato speciale della Rai calabrese, e vero depositario dei mille segreti della città di Reggio Calabria, dove viveva, e da dove puntualmente ogni giorno mandava a noi in redazione i suoi pezzi. Che erano per la verità di un equilibrio senza pari, costruiti a tavolino con la cura dei migliori cronisti del tempo, sempre “pensati”, mai approssimativi, o peggio ancora superficiali, puntuali dall’inizio alla fine, rigorosamente documentati, inattaccabili e letteralmente perfetti. Sorrideva, ammiccava, condivideva con un semplice cenno del capo, ma guai a provare o sperare di cavargli qualcosa di riservato dalla sua bocca. Era quasi una mummia. Sul piano professionale, senza dubbio, un grande inviato. Indimenticabili le dirette che fece per noi in punta di piedi dalla Certosa di Serra San Bruno per l’arrivo nell’eremo di Papa Giovanni Paolo II. Un racconto che nessun vaticanista navigato avrebbe mai saputo fare meglio e che lui tracciò con un garbo tale e un senso del pudore verso il mondo della clausura e dello stesso Papa polacco da farne un pezzo di storia. Di Franco Bruno il figlio Antonio ricorda «la classe, l’aplomb e quel giornalismo non gridato che caratterizzava la sua professionalità. Di mio padre mi porterò sempre dietro, soprattutto, la sua dedizione al codice deontologico». Mentre la figlia Titti ama ricordare «la sua ironia e l’aplomb inglese… perché tante volte non si sapeva dove finiva lo scherzo e iniziava la realtà»

TAG:

Iscriviti a RaiSenior

Scopri i vantaggi con l’iscrizione a RaiSenior. Da 69 anni sempre al tuo fianco.

Nuova Armonia Banner
Convenzioni