Il giornalista calabrese Oloferne Carpino

Riccardo Giacoia “Con Oloferne Carpino scompare una figura storica della RAI calabrese”

di Pino Nano

“Se ne è andato a piccoli passi” si legge oggi sul manifesto funebre che annuncia la morte del giornalista cosentino Oloferne Carpino e i cui funerali si sono celebrati ieri mattina nella Chiesa della Madonna di Fatima a Rosario di Mendicino, alle porte di Cosenza, presenti tutti i suoi vecchi amici e compagni di lavoro. A ricordarlo ai presenti, con i toni appassionati che lui sa ancora usare, è stato il Caporedattore della RAI calabrese Riccardo Giacoia che ha parlato di una figura storica della RAI in Calabria.

Oloferne Carpino era di origini albanesi, era nato a Cerzeto il 2 maggio 1937, e per tutta la sua vita era stato un giornalista militante. L’Unità, Paese Sera, poi la RAI, una vita divisa tra giornalismo e politica, tra la sua redazione che era poi la sua vera casa e la federazione comunista di Cosenza. Fuori dagli schemi, assolutamente libero, a tratti anche dissacrante e incosciente, perfettamente consapevole dei rischi che questo suo modo di scrivere, o di intendere la sua missione di giornalista, gli poteva comportare. Lui però era cocciuto come un sasso di montagna. Nulla che lo facesse recedere dalle sue convinzioni o dalle mille certezze che pareva avesse. Onesto, trasparente, cavaliere senza macchia e senza paura.

Oloferne Carpino, Lello Malito, Tonino Raffa,Pasqualino Pandullo e Pino Nano

Io ho avuto l’onore e la gioia di lavorare con lui in RAI per quasi 20 anni, e per 20 anni non ho fatto altro che volergli bene e ammirarlo, per tutto quello che era stata (ed era) la sua vita professionale e politica. Ne parlavamo ieri con Alfonso Samengo e con Riccardo Giacoia per via del rapporto fortissimo che anche loro due avevano con lui. Un mito, un uomo buono, un padre di famiglia come pochi.

C’è un ricordo in particolare che mi lega moltissimo alla sua storia personale e professionale. Il primo giorno che io arrivai in RAI, in Via Montesanto, Franco Falvo, allora Capo Redattore, mi assegnò il mio primo servizio in televisione e mi mandò a Longobucco per una inchiesta sui forestali e sulla loro eterna vertenza sindacale contro la Regione, e quel giorno mi affidò alle cure di Oloferne Carpino. Mi spiegò che Oloferne sarebbe stata la mia guida e il mio maestro, e mi disse testualmente “Segui i suoi consigli e non sbaglierai, perché nessuno meglio di lui conosce il mondo operaio della montagna”. Da Cosenza a Longobucco e ritorno Oloferne mi diede tante e tali informazioni sul mondo degli operai forestali, e sulle aree più interne della regione, che lo ringraziai poi per anni.

Pietro Melia, Alfonso Samengo, Santi Trimboli, Oloferne Carpino, Andrea Musmeci, Anna Rosa Macrì

Ma se sul piano personale Oloferne era una delle persone più garbate che io allora conoscessi, sul piano professionale, invece, era nei fatti uno dei cronisti più “duri” del giornalismo calabrese. Pochi forse se lo ricorderanno, ma tanti anni fa quando Paese Sera era un giornale che in Calabria contava, e contava davvero anche tanto, c’era un cronista, che si firmava Carlo Ferri -in realtà era lui, Oloferne Carpino, Carlo Ferri era il suo pseudonimo- e che ogni mattina dalle colonne di questo foglio “paracomunista”, lanciava strali velenosi contro tutto il malcostume dilagante di quegli anni. E lo faceva in maniera ancora più spietata se questo, “tutto e tutti”, era rappresentato, o rappresentava, il potere dominante.

Il suo era un giornalismo politico, aggressivo, militante, partigiano, spietato, fuori dei denti, irrispettoso, irriverente, dissacrante, un giornalismo a cui la Calabria non era certo ancora abituata, ma di cui presto migliaia e migliaia di lettori dimostrarono invece di volersene innamorare e di volersene cibare.

Santino Trimboli, Oloferne Carpino e Vincenzo D’Atri

Erano gli anni ‘80, e Paese Sera andava a gonfie vele, e divenne ben presto una vera e propria scuola di pensiero, e Carlo Ferri era diventato nei fatti il paladino degli ultimi, il difensore delle cause perse, il Robin Hood di quella stagione politica dominata dalla DC e dai suoi uomini.

Ricordo esponenti democristiani importanti che ogni sera andavano a dormire preoccupati per quello che Carlo Ferri avrebbe scritto di loro l’indomani mattina sul suo giornale e molte inchieste giudiziarie di quegli anni partirono proprio dagli articoli firmati Carlo Ferri.

«Maledetto Carlo Ferri», dicevano così in quegli anni, ed erano in tanti a pensare la stessa cosa, nelle segreterie politiche di quasi tutti i partiti di governo. I mesi passavano, e ogni giorno Carlo Ferri faceva scempio, sulle pagine di quel suo giornale, delle loro storie personali e pubbliche.

Pino Nano, Pasqualino Pandullo, Oloferne Carpino e Gregorio Corigliano

Vi invito a rileggervi, lo dico soprattutto ai colleghi più giovani che non hanno avuto la fortuna di condividere insieme a noi quel periodo, quelle sue inchieste che erano puro giornalismo d’inchiesta e di denuncia, dallo “Scandalo dell’Esac”, a “La guerra del vino”, alle “Nefandezze delle grandi incompiute”. Di tutto e di più.

“Ci fu una fase della mia vita – mi ricordava Oloferne nelle mille occasioni che io lui e Alfonso Samengo (oggi Vicedirettore del TG2) trovavamo continuamente per stare insieme e fare colazione con lui- in cui mia moglie Rina non faceva altro che aprire la porta della nostra casa ai vari ufficiali giudiziari che si presentavano per consegnarmi decine di denunce. I reati ricorrenti erano: diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico, partecipazione a manifestazione sediziosa, ma come corrispondente dell’Unità per cui allora lavoravo dovevo per forza di cose essere presente in tutte le manifestazioni di protesta che il Pci di allora organizzava un po’ in tutta la Calabria. Spesso c’era anche l’oltraggio a pubblico ufficiale, ma anche questo accadeva per via delle reazioni spontanee che spesso mi capitava di avere con i poliziotti che mi fermavano in ogni ora del giorno per capire cosa io facessi o dove io fossi diretto. Ricordo che mi venivano recapitati questi avvisi di colore giallo, che poi io passavo regolarmente a Ciccio Martorelli, famoso penalista di Cosenza e grande compagno di lotte politiche, che per questo lavoro non percepì mai una sola lira di compenso”.

Quanti processi?

“Naturalmente nessuno, quindi neanche sentenze di condanna. Tutto finiva nel silenzio, nel dimenticatoio, anche perché l’avvocato Martorelli era uno di quei penalisti con cui non si poteva assolutamente scherzare. Anche il mio rapporto con gli agenti della squadra politica erano diventati col passare degli anni una consuetudine, a volte anche cameratesca e cordiale. Ci si conosceva a vicenda, io facevo il rivoluzionario di professione e loro facevano i poliziotti, erano due ruoli differenti, io rispettavo loro e loro in qualche modo rispettavamo me. Ricordo in particolare il capo del Sifar a Cosenza, era un maresciallo dei carabinieri, che alla fine diventò anche mio amico, lui era ciociaro, aveva sposato una cosentina ed era finito in questa città: lui seguiva me ed io seguivo lui, una sorta di gioco, tra il gatto e il topo, ma tutto avveniva con estremo rispetto l’uno dell’altro. Oggi lui è in pensione e quando lo incontro per strada ricordiamo quei giorni con grande ironia e forse anche con un pizzico di nostalgia, se non altro per la giovane età che avevamo entrambi”.

Gennaro Cosentino, Alfonso Samengo, Oloferne Carpino, Carla Monaco, Riccardo Giacoia

Carlo Ferri, ma da dove parte la tua storia?

Sono nato a Cerzeto il 2 maggio 1937, un paesino di tradizione e di cultura albanese. Da qui, assai presto, mi sono trasferito a Cosenza, dove ho vissuto la mia infanzia senza madre. Mia madre morì qualche mese dopo avermi dato alla luce”.

Immagino una vita difficile?

“«Partiamo dal giorno in cui capii che la mia vita era in bilico tra la vita e la morte. Era il 1956, ed allora avevo 19 anni. Vivevo da sbandato, frequentavo pessime compagnie, avevo amici poco raccomandabili, la mia vita futura aveva tutte le premesse per diventare quella di uno che viveva fuori dalla società. Analizzando le cose che facevo allora posso ritenermi un uomo davvero molto fortunato se oggi sono qui insieme a te, insieme agli altri, per condividere il progetto ideale di un giornale tutto nostro e al servizio delle popolazioni calabresi.

Allora frequentavo a Cosenza il terzo liceo scientifico, allo Scorza. Mi bocciarono, e allora decisi di lasciare per sempre la scuola. Avrei fatto qualcosa di diverso da quello che forse mio padre sognava per me. Finché, una mattina, mi capitò una cosa molto particolare. Era l’autunno del 1956. I carri armati russi avevano invaso l’Ungheria, Budapest era stata messa in ginocchio dal Patto di Varsavia. A Cosenza, come in tante altre città europee si manifestava in piazza contro quell’invasione. Un giorno scesi a Corso Mazzini e mi accodai ad una delle tante marce di protesta che quel giorno erano stata organizzate un po’ dovunque anche in Calabria dai ragazzi della “Giovane Italia”.

La manifestazione, ricordo, si fermò in Piazza della Vittoria, proprio sotto i balconi della Federazione Provinciale Comunista, e da qui si fecero vivi due dirigenti comunisti del tempo. Uno era l’ingegnere Antonio Macrì, l’altro era un tale Di Benedetto, era il vecchio ispettore de l’Unità. Ricordo che si avvicinarono a noi e ci spiegarono con estrema semplicità le ragioni per le quali il PCI del tempo difendeva l’invasione dell’Ungheria.

Furono molto cortesi con noi, ma anche assai convincenti, e lo furono così tanto che da quel giorno mi innamorai del pensiero comunista. Il giorno dopo mi presentai nei locali della Federazione Provinciale di Cosenza e aderii ai giovani comunisti. Il loro capo spirituale era Ivano Noce, veniva da Celico, ed aveva grande carisma, era davvero un grande comunicatore. A quel punto la mia vita cambiò radicalmente.

Finii di essere uno sbandato e mi preparai a diventare un buon dirigente comunista. Non avevo mai fatto politica prima d’allora, non sapevo neanche cosa fosse la politica, ma quel giorno capii che la passione politica avrebbe potuto restituirmi la dignità che come ragazzo avevo perso per strada. Mi convinsi che dovevo riprendere i libri perché la scuola sarebbe diventato un passaggio obbligato per la mia crescita futura. Mi rimisi a studiare. Lasciai il Liceo Scorza e mi presentai da privatista agli esami di stato all’istituto Magistrale. Presi il diploma, e trovai subito un posto come maestro a San Marco Argentano. La mia prima scuola elementare era in campagna. Poi venni mandato a San Sosti»

Edoardo Marino,Riccardo Brunetti,Francesco Mazzei,Oloferne Carpino,Rosario Greco e in basso Bruno Castagna

E la politica?

«La politica ti ripeto diventerà parte integrante di tutta la mia vita. Di mattina andavo a scuola, il pomeriggio ero in Federazione. Nell’inverno del 1957 avevamo fondato un periodico che si chiamava Il Timone: dovevamo pensare anche al giornale e alla sua distribuzione. Allora mi occupavo principalmente di sport, poi venne la cronaca e tutto il resto, soprattutto le grandi inchieste. Oltre a Il Timone avevamo in Federazione anche un altro periodico da fare uscire, era il Risveglio Cosentino, ne era direttore un compagno autorevole, Gino Picciotto, che poi diventò deputato. Gli anni intanto passavano e, poiché Elio Fata che era allora il corrispondente de l’Unità aveva mollato il giornale per inseguire qualche altradelle sue mille passioni personali de la sua vita, si pose il problema delicato della sua successione. Naturalmente al giornale pensarono subito a me. Il capo delle pagine regionali de l’Unità era allora un giornalista di grande valore, si chiamava Aldo De Iaco, Luigi Pintor ne era invece il direttore responsabile: Aldo mi convocò a Roma e mi disse: “Qui c’è da scrivere per il nostro giornale”. Obiettai che avevo da pensare anche alla scuola, ma mi rispose che non avrei dovuto preoccuparmi più di tanto, perché le due cose si conciliavano perfettamente bene tra loro. Non solo, mi affidarono anche l’incarico di badare alla stampa comunista regionale, in particolare ad un periodico che allora andava molto bene e che era Lotta Calabrese. Poi mi diedero il mio primo tesserino da giornalista, era la tessera che il giornale dava ai suoi corrispondenti, l’aveva firmata personalmente Luigi Pintor. Ben presto lasciai però la scuola e diventai nei fatti un vero e proprio funzionario di partito. Erano gli anni in cui i veri protagonisti del PCI a Cosenza erano Fausto Gullo, Franco Ambrogio, Tommaso Giudiceandrea, la “passionaria” Rita Pisano, Gino Picciotto. Quindici anni più tardi arriveranno gli altri, Nicola Adamo, Carletto Guccione, la grande famiglia dei Veltri».

Ricordi su ricordi, sembrano come noccioline americane, da snocciolare l’una dietro l’altra, e il vecchio-dolce Carlo Ferri lo fa con l ’ orgoglio palese dei militanti di partito, quelli che la politica l’hanno fatta sul serio e in prima persona.

Oloferne Carpino con Pino Nano

Ma com’è nato Carlo Ferri?

«È nato per caso. Agli inizi degli anni ’70, Paese Sera decise di investire molto del suo potenziale sulla Calabria. La direzione del giornale mi convocò a Roma e il segretario di redazione, che allora si chiamava Palla, il direttore era Leonardo Coen, mi chiese di collaborare con il quotidiano con cadenza quasi quotidiana. C’era solo da risolvere il problema della firma. Palla mi disse che sarebbe stato meglio usare per Paese Sera una firma diversa da quella che io usavo per l’Unità, e poiché era un appassionato d’anagrammi lesse il mio nome, Oloferne Carpino, e lo trasformò in Carlo Ferri. «Ecco, questo sarà il tuo nuovo nome», mi disse.

Da questo momento inizia per Oloferne Carpino una nuova stagione: quello che l’Unità non gli aveva mai permesso di fare e di scrivere su Paese Sera, invece, diventa per lui quotidiana regola di vita.

Oloferne Carpino il primo da destra alla festa di insediamento di Vittorio Fiorito nuovo Caporedattore della RAI in Calabria

Insomma, giornalismo senza rete, senza nessuna censura preventiva, soprattutto senza nessuna preoccupazione di molestare il “padrone del vapore”. Era semmai vero, invece, il contrario.

La parola d’ordine di quegli anni pareva essere una sola: distruggere per quanto possibile il potere dominante. Cosa che Carlo Ferri fece in maniera sistematica, vero e proprio “genio militare” in zona di guerra.

Ma non sempre gli andò bene. Nel senso che la sua collaborazione a Paese Sera ben presto gli procurò qualche problema all’interno del partito.

Accadde, in particolare, quando Paese Sera decise di pubblicare in più puntate una lunga inchiesta di Carlo Ferri sui lavori dell’Autostrada del Sole, allora in fase di realizzazione anche in Calabria.

Da un uomo come Carlo Ferri c’era da aspettarsi di tutto, ma mai e poi che potesse parlare bene di Giacomo Mancini. Mancini allora era potentissimo Ministro socialista dei Lavori Pubblici, l’Autostrada del Sole portava la sua firma, e nessun comunista avrebbe mai immaginato di leggerne le lodi su un quotidiano come Paese Sera, che aveva fatto della dissacrazione pubblica la sua morale quotidiana.

Ma come si faceva a negare l’evidenza? Se la Salerno-Reggio Calabria era passata per Cosenza lo si doveva solo alla cocciutaggine di Giacomo Mancini e al suo amore viscerale per la città che gli aveva dato i natali. A difendere Carlo Ferri scese in prima persona Franco Ambrogio, e questo bastò ad evitargli un processo politico in Federazione.

Giancarlo Geri,Tonino Raffa, Tonino Serafini,Oloferne Carpino e Lello Malito

Negli anni ’80 l’arrivo poi alla Rai.

Era il primo gennaio 1980, quella mattina Franco Martelli lo chiamò a casa per comunicargli l’avvenuta assunzione. «Ma prima di Franco mi aveva già telefonato Sandro Curzi. Curzi mi aveva cercato a casa, non mi aveva trovato e aveva lasciato a mia moglie la notizia che tutti aspettavamo da giorni»

Ma è vero che per anni all’interno del Pci ti hanno chiamato “il socialdemocratico”?

«Era solo una delle tante leggende metropolitane che allora si raccontavano sul mio conto. Ma la verità vera è che io stesso sentivo di essere diverso dagli altri. Mi sentivo comunista dalla testa ai piedi, ma sentivo che una maggiore apertura all’esterno non avrebbe guastato. A distanza di anni direi oggi che avevo visto bene, con estrema lucidità ed in anticipo, quello che oggi è storia contemporanea. Ma già allora ero convinto che la forma ideale di socialismo fosse la socialdemocrazia scandinava. Quest’amore per la storia politica di quel Paese del Nord Europa nacque dentro di me per caso: da giovane frequentavo a Cosenza il Circolo Culturale De Santis, a lora stava sulla scalinata di Via Calabria, e qui si proietta vano spesso delle pellicole d’autore. Era una sorta di Cineclub. Io mi innamorai subito di Ingmar Bergman, il grande regista svedese che oggi vive la sua vecchiaia aspettando la morte sull’isola di Faroe, nel Mar Baltico, autore fra l’altro de “Il settimo sigillo”, “Il posto delle fragole”, “Scene da un matrimonio”. Di questo grande maestro del cinema avevo visto tutto quello che fino ad allora era stata la sua produzione, e da lui imparai che la socialdemocrazia è forse la formula politica più ideale per gli uomini. Tutto questo era mal digerito dai miei compagni di partito, ma io tentai di restare fedele alle mie idee fino all’ultimo».

Olofrne Carpino accanto all’allora Governatore della Calabria Peppino Chiaravalloti in visita ufficialee alla RAI di Cosenza

Ma in Rai scopro un’altra leggenda metropolitana sul conto del vecchio “Carlo Ferri”.

Mi dicono tu sia stato più volte in Russia, e mi dicono che la stragrande maggioranza dei cosentini che in tutti questi anni hanno visitato Mosca e Leningrado lo debbano proprio a te?

«Forse è vero. Ma allora, io ero il responsabile dei “Viaggi dell’Amicizia”. Erano i viaggi che il Pci organizzava dall’Italia per avvicinare i propri iscritti e simpatizzanti al regime sovietico».

E tu?

«Io guidavo una delegazione politica. Ad aprile si andava a Mosca come rappresentanti del partito, poi da maggio in poi si portava la gente in vacanza. Un’esperienza davvero indimenticabile».

Oloferne Carpino festeggiato dai colleghi di redazione per uno dei suoi compleanni

Per darvi meglio l’idea del personaggio vi racconto un’altra storia che allora fece molto scalpore in RAI.

Dopo 34 anni dalla nascita ufficiale della Rai calabrese ci lasciavamo alle spalle, ormai definitivamente per sempre, la vecchia Sede di Via Montesanto, nel cuore di Cosenza, per l’inaugurazione ufficiale della nuova sede di Viale Marconi. Era il 6 ottobre del 1992. È inutile forse ricordarlo, ma fu una grandissima festa. Da Roma arrivò il Presidente della Rai Walter Pedullà. A rappresentare il Governo, il Sottosegretario agli Interni sen. Antonino Murmura. Al tavolo della presidenza, allestito nel nuovo studio televisivo, erano seduti il Direttore di Sede Enzo Arcuri, il Capo redattore Franco Martelli, il direttore della Testata Giornalista Regionale Leonardo Valente, il vice Direttore Generale Albino Longhi. Tra il pubblico, in prima fila, anche il Presidente della Giunta Regionale Guido Rodio, il Presidente del Consiglio Regionale Anton Giulio Galati, l’Arcivescovo di Cosenza mons. Dino Trabalzini, il sindaco della città di Cosenza Piero Minutolo, tutti gli Assessori Regionali in carica, il rettore dell’Università della Calabria prof. Giuseppe Frega, con lui gran parte del Senato Accademico, i senatori Franco Covello e Giuseppe Pistoia, quasi tutti i Consiglieri Regionali, i vertici della magistratura calabrese, decine e decine di giornalisti invitati per l’occasione a rappresentare le rispettive testate.

Oloferne Carpino tra Mimmo Nunnari e Basilio Bianchini in occasione della visita ufficiale in RAI di Mons. Giuseppe Agostino Arcivescovo di Cosenza

Uno soltanto di noi non partecipò però a quella festa, e motivò quella sua “protesta” in un documento pubblico che fece distribuire tra i presenti. Si trattava proprio di Oloferne Carpino, eterna anima libera e ribelle di questa nostra casa comune: «Quello che sta per esse re inaugurato oggi – si leggeva in quel documento firmato da lui – è un edificio monumentale costato decine di miliardi, notevolmente sovradimensionato rispetto alle reali modeste esigenze di questa sede. Mi pare che tale decisione abbia anche risvolti inquietanti». Questo era Oloferne, e che Ciccio di Michele chiama amabilmente “Fernuzzo”, nomignolo che poi gli è rimasto appiccicato per tutti gli anni in cui lui restò con noi in RAI.

Oloferne Carpino con Gregorio Corigliano

Ma nella vita di tutti noi c’è un prima e un dopo, e il dopo di Oloferne Carpino fu una sorta di conversione morale a 360 gradi.

Chiuso Paese Sera, finiti i bollori della “rivoluzione a tutti i costi” Oloferne abbandona le armi del condottiero e del prode don Chisciotte, per vestire le vesti più soft, ma anche forse più barbose e più monotone, dell’esperto di politica ambientale. Non ci crederebbe nessuno, ma il mitico Carlo Ferri trascorse gli ultimi anni della vita di redazione dedicandosi soltanto ai temi legati all’ambiente, alla cura delle piante, alla salvaguardia dei boschi, alla tutela dei tesori ambientali, cosa che fece anche con ritmi appassionati, anche frenetici, una media di un pezzo al giorno. Ma anche in quella sua nuova veste per me rimase un mito.

Oloferne Carpino

Ciao Carlo, e grazie ancora per tutto quello che mi hai dato e mi hai insegnato.